Nicoletta Mandolini (CECS, Universidade do Minho)
Moleste. Collettivo per la parità di genere nel fumetto ha esordito nell'ottobre del 2020 a distanza di qualche anno dall'irruzione del movimento #MeToo (2017), con cui condivide l'obiettivo generico di denunciare, da un punto di vista pratico oltre che simbolico, le disuguaglianze di genere in ambito lavorativo. Un ambito lavorativo particolare, quello delle narrazioni grafiche italiane, in cui la diversità sta mano a mano facendosi strada nei contenuti, come testimoniato dal sempre crescente successo di autrici e autori che riflettono sul genere partendo da una prospettiva eccentrica rispetto a quella fino a qualche anno fa inequivocabilmente dominante dell'autore uomo cisgender ed eterosessuale. Eppure, nonostante importanti passi avanti siano stati fatti per accrescere la visibilità di soggettività femminili e/o non eteronormate, permane nel mondo del fumetto una chiara disparità materiale e di potere che si manifesta nei numerosi episodi di sessismo contro donne (e uomini non conformi al modello di mascolinità egemonico) che il collettivo Moleste si è proposto di raccogliere e diffondere.
Ho fatto due chiacchiere con una delle fondatrici di Moleste, la fumettista Francesca Ciregia. Insieme abbiamo parlato della prolifica intersezione tra attivismo femminista e fumetto.
N.M. Moleste nasce come spazio di dialogo e ascolto sui temi della disparità di genere nel mondo del fumetto italiano. Leggendo il vostro manifesto è chiara l’influenza del movimento #MeToo che, a partire dall’ottobre 2017, sconvolse il mondo del cinema e, più in generale, del lavoro con una serie di denunce di molestie e violenze sessuali commesse da uomini detentori di potere a danno di donne lavoratrici. Proprio come nei mesi del #MeToo, Moleste incoraggia le donne del fumetto a rompere il silenzio e a denunciare comportamenti denigranti legati alla più ampia disuguaglianza socio-culturale di genere. Eppure, rispetto al #MeToo, Moleste ha dichiarato di rifiutare ogni retorica giustizialista e forcaiola, come dimostra la pratica di offrire sostegno alla presa di parola delle vittime interessate a denunciare l’atto di molestia senza tuttavia rendere noti i nomi dei carnefici. Inoltre, avete reso esplicito il rigetto della dicotomia che contrappone, semplicisticamente, le categorie di vittimizzazione, femminilità e passività a quelle di colpevolezza, maschilità e agentività. Due sono le scelte che illuminano questa etica: da una parte quella del nome che vi siete date, Moleste, il quale felicemente raggira la passivizzazione a cui sono solitamente soggette le donne vittime di violenza riassegnandogli soggettività; dall’altra quella di aprirvi al contributo di uomini con esperienze di discriminazione legate al genere, una strategia di inclusione che contribuisce a spostare il focus del discorso sulla violenza sessista dal sesso di appartenenza delle vittime alle motivazioni che stanno dietro al gesto. Molte sono state le critiche costruttive alle idiosincrasie e alle polarizzazioni del #MeToo, tanto che alcuni gruppi femministi come la rete Non una di meno hanno elaborato pratiche di denuncia alternative tese a un empowerment collettivo che scongiuri la rappresentazione delle donne come vittime passive. Mi pare però che la vostra sia una delle prime e più efficaci articolazioni strutturate fatta al #MeToo dall’interno dello sfaccettato movimento femminista in Italia. Perché, secondo te, questa critica alla semplificazione del discorso femminista sul #MeToo arriva proprio da delle lavoratrici del fumetto, un ambito culturale che, paradossalmente, per molto tempo ci ha abituato a polarizzazioni e riduzioni retoriche (penso, ad esempio, al manicheismo che è insito nella retorica supereroistica e alla rigida compartimentazione di genere che l’iconografia del supereroe ha portato avanti per decenni)?
F.C. Per quanto il mondo del fumetto possa essere più erroneamente associato alla più conosciuta retorica supereroistica, a seguito anche del coinvolgimento del medium cinematografico che più ha avuto successo in questi ultimi anni, la produzione fumettistica si sviluppa in varie manifestazioni culturali e in diverse forme di contenuto, sia visivo che comunicativo. Il punto fondamentale che spesso è tralasciato quando si parla di fumetto, è quanto esso stesso sia un linguaggio che ha parlato nel tempo sia della più consolidata cultura pop a sé contemporanea che di quella più sotterranea, meno diretta o solamente meno immediata. Potrei parlare per ore dei numerosissimi esempi di opere fumettistiche che, attraverso la poliedrica comunicazione caratteristica di questo medium, hanno trattato temi storici, sociali, culturali in maniera pertinente e approfondita, facendosi specchio della contemporaneità e con il valore aggiunto di essere realmente alla portata di tutti.
Faccio un esempio specifico che qualcuno potrebbe considerare in un primo momento poco pertinente: il 2021 è il ventesimo anniversario della conclamata serie di fumetti W.I.T.C.H, fumetto italiano ideato da Elisabetta Gnone, Alessandro Barbucci e Barbara Canepa. Numerosi sono stati gli interventi di donne della mia generazione che hanno ringraziato la serie per averle introdotte a un pensiero di indipendenza e coraggio nell’agire per la realizzazione di un cambiamento nel mondo. Cosa può esserci di più potente di una storia con protagoniste cinque adolescenti che grazie alle loro differenze e alle loro peculiari capacità possono combattere per un mondo migliore? Tutto questo è finito nelle mani di numerose bambine a partire dal 2001, facilmente acquistabile per pochi euro in edicola.
Potrei fare un altro esempio ancora. Parliamo di uno dei capolavori mondiali della storia del fumetto: L’Eternauta, fumetto di fantascienza scritto da Héctor Oesterheld e disegnato da Francisco Solano Lopez, pubblicato dal 1957 sulla rivista Hora Cero, in Argentina. La saga fu riscritta dallo stesso nel 1969, rendendo più espliciti i riferimenti alla situazione geopolitica del sudamerica del periodo. La trama è spesso considerata un’anticipazione del golpe argentino del 1976 di Jorge Videla, della quale rimarrà vittima lo stesso Oesterheld, desparecido nel 1977.
Ma posso fare un altro esempio ancora, di stampo supereroistico: la rivisitazione del genere da parte di uno dei capolavori più apprezzati da pubblico e critica. Watchmen, miniserie scritta da Alan Moore e disegnata da Dave Gibbons, pubblicato dalla DC Comics tra il 1986 e il 1987. Attraverso il racconto di un gruppo di supereroi ambientato in una realtà alternativa molto simile a quella del mondo reale, in un 1985 in cui Stati Uniti e Unione Sovietica sono in piena guerra fredda e sull'orlo di una guerra nucleare, Watchmen coglie l’occasione per toccare in maniera approfondita tematiche psicologiche, sociali e culturali di un arco preciso della storia americana, offrendo una panoramica politica ed etica della definizione (o non definizione) di diritto e di giustizia. Se invece proprio non vogliamo parlare di un esempio specifico, lo stesso mondo supereroistico spesso tocca nella sua narrazione temi di denuncia, laddove la realtà sociale ritarda a intervenire o a rendersi specchio conforme della reale necessità sociale.
Penso che a questo punto sia chiaro dove voglio arrivare e cosa voglio mettere sotto i riflettori: la grandissima libertà e versatilità comunicativa in potenza del linguaggio fumettistico.
Attraverso questo media non ci sono limiti di nessuna sorta, non ci sono limiti economici. Di strumenti, di fantasia e di narrazione. Tutti possono accedere al medium del fumetto, tutti, in potenza, possono mettersi alla scrivania e fare fumetti. In questo calderone primordiale, dinamico e attivo, con il quale noi siamo cresciute e dove lavoriamo, era del tutto naturale che fosse possibile articolare un discorso così sfaccettato e preciso, libero da ogni tipo di materialismo.
Penso sinceramente che il medium del fumetto, proprio per queste sue caratteristiche potenzialmente anarchiche e non borghesi, sia uno degli strumenti con cui oggi si possa davvero arrivare ad aggiungere un altro passo nella rivoluzione in atto da due secoli.
N.M. La campagna con cui avete lanciato Moleste consiste nella pubblicazione, in forma anonima, di testimonianze di abuso. Avete abbondantemente spiegato le ragioni politiche ed etiche che stanno dietro la scelta dell’anonimato (la volontà di evitare la cosiddetta vittimizzazione secondaria di chi denuncia e il rigetto della gogna mediatica per i denunciati). Rita Petruccioli, una delle fumettiste del collettivo, ha specificato, nel corso di un’intervista rilasciata per il festival Bande de Femmes organizzato dalla libreria Tuba di Roma, come la decisione di diffondere testimonianze anonime abbia anche l’obiettivo di promuovere l’immedesimazione di chi legge, nonché un processo di interrogazione più profondo e non necessariamente legato al riconoscimento delle soggettività coinvolte. Mi sembra che questa sia una questione fondamentale e, in particolare, una questione che, questa volta sì, non può che essere legata alla consapevolezza che, come fumettiste, avete delle dinamiche narrative. Per gli appassionati e studiosi di fumetto è impossibile non ravvisare nel ragionamento di Petruccioli una produttiva assonanza con la pratica della rappresentazione iconica che caratterizza le narrazioni grafiche. Come molti esperti hanno notato, il fumetto lavora sulla riduzione dell’immagine e dei corpi a caratteristiche essenziali e universali, un procedimento che facilita l’identificazione di chi legge. In che altro modo pensate di mettere a valore le vostre competenze nell’area della rappresentazione, un ambito così importante eppure così poco considerato quando si fa attivismo?
F.C. Attraverso la rappresentazione si può comunicare qualsiasi cosa, laddove c’è una cultura dell’immagine. L’essere umano in sé si muove attraverso una narrazione personale che spesso e fondamentalmente si esercita attraverso una rappresentazione visiva, un’interpretazione di se stesso nel mondo e attraverso il mondo. Basta solamente tener conto di quanta varietà di forme e colori possiamo trovare nel vestiario e nell’arte di ogni singola civiltà sviluppatisi nella storia umana. La rappresentazione è in qualche modo identità e comunicazione. E sotto questo punto di vista, la rappresentazione può essere un veicolo d’informazioni precise.
Un esempio? Il 29 Marzo 2020 il collettivo Moleste ha collaborato con Cheap, progetto di public art fondato da sei donne a Bologna nel 2013. Il nuovo lavoro artistico si chiama “LE articolo AUTOdeterminativo”. Attraverso questa esperienza abbiamo potuto presentare sulle strade di Bologna, alla portata di tutti, o meglio, sotto gli occhi di tutti, alcuni dei momenti decisivi per i diritti delle donne: si va dalla raffigurazione di persone simbolo come Ada Lovelace, Franca Viola e Franca Rame, a disegni che riguardano la conquista del diritto al divorzio, all’aborto, al riconoscimento dei legami tra persone dello stesso sesso, percorrendo anche momenti culturali rivoluzionari come ad esempio la conquista dello spazio pubblico queer. Tutto attraverso il lavoro di undici diverse artiste e di undici diversi modi di interpretazione visiva delle tematiche e della realtà. E qui mi riallaccio al discorso di cui sopra: la versatilità e la facilità di fruizione della rappresentazione, la comunicazione immediata e incisiva alla portata di tutti, ma non per questo superficiale e meno importante.
Educare all’immagine è educare all’immaginario culturale della società nella sua interezza, anche nelle sue forme più complesse e meno intuitive di significato, una responsabilità culturale che influenza inconsciamente le nostre vite quotidiane e che ci dovrebbe spingere a cercare un modo più efficace e costruttivo di rappresentare tematiche sociali importanti, quali possono essere quelle legate ad un attivismo femminista.
N.M. Un’altra questione che è emersa in interviste rilasciate precedentemente è quella del collettivo come luogo virtuale di ascolto e di dialogo innanzitutto tra componenti interne. Da femminista, non posso fare a meno di pensare alla pratica dell’autocoscienza che ha segnato la politica delle donne per molti anni a partire dagli anni Sessanta. Che rapporto avete con la teoria e con i movimenti femministi? Vi riconoscete in un filone specifico? Collaborate con alcune realtà attive nell’area più generale della lotta alle discriminazioni di genere?
F.C. Il collettivo Moleste, collettivo per la parità di genere nel fumetto, è un collettivo transfemminista. Ovvero rifiuta qualsiasi tipo di esclusione nell'ambito della parità dei generi. In più ci riferiamo a un modello politico intersezionale, che tiene conto della peculiarità e della stratificazione delle lotte di genere, di cultura, disparità economica. Sappiamo che non si può trascurare nessuno di questi aspetti per arrivare a una reale e concreta uguaglianza sociale. Cerchiamo naturalmente le nostre radici politiche in quanto è stato fatto e continua ad essere fatto e riteniamo che il confronto interno e con le altre attivist* sia fondamentale per arrivare all'autodeterminazione. È importante, allo stesso tempo, riflettere sul contributo originale che possiamo dare alla lotta, inventare nuove pratiche per rispondere a problemi specifici del nostro ambiente. In più distinguiamo il nostro campo rispetto a quello dei CAV (centri anti violenza), ad esempio, con cui collaboriamo. Continuiamo a voler essere fumettiste, a voler creare spazi paritari di lavoro, senza sostituirci a competenze già esistenti e funzionanti. Lavoriamo sul lungo termine, mettendo a disposizione di una causa in cui crediamo I nostri strumenti.
N.M. A livello internazionale come avete intenzione di connettervi con esperienze simili alla vostra?
F.C. Per adesso a livello internazionale il collettivo Moleste è affiliato a movimenti nati in Francia (Collectif des créatrices de bande dessinée contre le sexisme), Spagna (Autoras de Cómic) e Stati Uniti d’America (So Many of US: recognizing abuse of power). Ciò che accumuna queste realtà è il trattamento di problematiche di genere all’interno del mondo del lavoro del fumetto, ma le motivazioni per cui sono nate e il loro svilupparsi è diverso a seconda della realtà in cui si sono evolute. Per questo per adesso il collettivo si è limitato ad agire esclusivamente nel territorio italiano, perché diverse sono le motivazioni di nascita del collettivo, diverse sono le dinamiche su cui intendiamo agire e diverse sono le metodologie con cui abbiamo intenzione di farlo.
N.M. Il vostro sito internet è estremamente sobrio per essere un sito curato da fumettiste. L’impressione è quella che per il momento abbiate preferito evitare di inserire fumetti, vignette o illustrazioni. Perché questa decisione? Si tratta di una scelta che ha a che fare con i rischi etici (l’involontaria rivittimizzazione, glamourizzazione, spettacolarizzazione, giusto per citarne alcuni) connessi alla rappresentazione visuale della violenza di genere?
F.C. E’ esattamente quello che hai scritto: il pericolo di involontaria rivittimizzazione, glamourizzazione e spettacolarizzazione. Ci sono state fatte ad esempio diverse richieste di rendere le testimonianze un prodotto editoriale, richieste che abbiamo prontamente declinato sia per i motivi elencati sopra sia perché, teniamo a ricordare, ciò che viene detto in esse non appartiene a noi, sono state gentili e sofferte concessioni da parte dei testimoni. Tuttavia, nei futuri progetti a cui stiamo lavorando, è presente una serie di editoriali in cui parleremo in maniera più approfondita di alcune tematiche sensibili di genere. Verranno pubblicati sul sito del collettivo (www.moleste.org), accompagnati da illustrazioni che in maniera attenta eviteranno di rappresentare la violenza di genere come qualcosa che vede le donne vittime passive di qualcosa che viene loro imposto, percepite solo quindi come l’Altro oggettivo e vittima e non come Soggettività e identità dinamiche e attive.
N.M. Continuare a lavorare sul linguaggio che usiamo per parlare di violenza sessista e organizzare attività che coinvolgano le scuole italiane sono le due direzioni che avete svelato per le vostre prossime iniziative. Ti chiedo, avete discusso della possibilità di lavorare direttamente con il fumetto per combattere gli stereotipi e agire nell’ambito, meno diretto ma altrettanto importante, del simbolico? Se sì, c’è volontà di lavorare in sinergia con gruppi di attiviste e attivisti che da tempo usano il fumetto come strumento di lotta (penso, ad esempio, a Lucha y Siesta e alla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna)?
F.C. Assolutamente sì. Il collettivo Moleste ha già collaborato con Cheap e non perderà l’occasione di agire a livello simbolico per combattere gli stereotipi di genere collaborando con altre realtà di attivismo che da tempo usano il fumetto come strumento di lotta.
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